“IL VERSO DELL’AMORE”: IL GIALLO DI LUCIA CORSALE TINTO DI IRONIA

Presso villa Reimann, la presentazione de “Il verso dell’amore” – un’indagine dell’ispettore, Alfredo Corpaci – di Lucia Corsale, è divenuta momento di approfondimento del genere giallo, nonché viaggio scenico grazie alle superbe performance del cantattore, Raffaele Schiavo, e dell’attrice, Agata Politi. A relazionare sul romanzo, edito da Europa Edizioni, sono stati chiamati: Elio Tocco, già professore di Storia e Filosofia, nonché scrittore, e Corrado Di Pietro, saggista e scrittore. Nel salone, oltre ad un folto uditorio, erano presenti: la presidente della Fildis, Irene Gionfriddo; il presidente del consorzio universitario, Archimede, Silvano La Rosa; il presidente e la vice-presidente dell’associazione Christiane Reimann, Marcello Lo Iacono ed Elvira Siringo. Corrado Di Pietro ha sottolineato, innanzitutto, come fra i tanti generi letterari, quello del romanzo giallo sia il più complesso – perché per la sua ardita architettura l’autore deve seminare molti indizi e supposizioni funzionali all’indagine e creare una certa suspence – e delicato visto che nella giungla di queste ricostruzioni bisogna mantenere un certo equilibrio narrativo.

Tra i tanti autori che in Italia hanno fatto scuola – Giorgio Scebarnenco, Maurizio De Giovanni, Donato Carrisi, Giorgio Faletti, ecc…- il più conosciuto e apprezzato rimane Andrea Camilleri, col suo esuberante commissario Montalbano, a cui – ha detto Di Pietro – Lucia Corsale deve un onesto contributo. Corrado Di Pietro, prendendo le distanze dalla letteratura gialla anglo-americana, in cui la metropoli e il mondo borghese capitalistico fanno da sfondo alle perversioni delittuose, si è soffermato sui gialli italiani dove il clima, i personaggi e le situazioni sono legati quasi sempre alle piccole città, i protagonisti sono esponenti della media borghesia e le usanze quelle di una cultura paesana in una società, comunque, moralmente corrotta e degradata. Siamo agli inizi degli anni ’60 e in una città siciliana cara all’autrice, Siracusa, l’ispettore, Alfredo Corpaci, bell’uomo e amante della buona cucina, dovrà investigare sulla morte di Santo Bibbìa, studente universitario modello, morto per un colpo di pistola partito accidentalmente o meno dalla pistola di ordinanza del suocero, Antonio Di Pasquale. Il merito maggiore della scrittrice siracusana, che per smorzare la gravità del racconto fa leva sull’ironia, – ha detto Di Pietro – è proprio il registro linguistico, molto originale, basato sul dialetto siciliano, italiano regionale, italiano popolare, con qualche incursione nell’italiano standard o letterario. Un registro assolutamente popolare, medio-basso, effervescente, distante, dunque, dai paludamenti di una scrittura aulica o scolastica. Le sgrammaticature, poi, trovano la loro cittadinanza naturale in questo testo perché formano quegli sperimentalismi tipici della scrittura creativa.

Il professore, Elio Tocco, ha parlato della sicilianità che trasuda dal libro, traendo spunto dalle musiche e dai suoni emessi dalla versatile voce di Raffaele Schiavo: “Un canto –suono lancinante, triste di malinconia vissuto e impregnato di sicilianità. Un suono cantato su una invisibile melodia, accompagnato da insistite, arcane percussioni. Lì c’è tutto. La solitudine, la creatività malinconica, la lamentazione rituale, la tradizione di terra e d’aria, di campagna e di stagioni smarrite, le radici di vento e di fuoco delle Sicilia.” Elio Tocco, spezzando una lancia a favore dell’autrice, ha parlato di un registro linguistico più spontaneo rispetto a quello di Andrea Camilleri e di un’ironia incalzate che nell’animo di Lucia Corsale fa rima con la melanconia.